"Una bambina senza stella" di Silvia Vegetti Finzi

Non so a voi ma a me non capita così spesso di imbattermi in un libro che mi sorprenda...per struttura.
Intendo dire che i contenuti possono essere bellissimi e i più svariati ma spesso le forme, anche solo per la banale ragione del genere letterario di appartenenza, si assomigliano, le strutture narrative o organizzative della narrazione bene o male ripercorrono canoni già tracciati dalla tradizione. E, intendiamoci, va benissimo così! Tuttavia quando ci si imbatte in qualcosa che esula da tutto ciò vale la pena notarlo e riconoscerne il merito ed anche in qualche misura il coraggio, non trovate?

Una bambina senza stella di Silvia Vegetti Finzi edito da Rizzoli è proprio così: un libro sorprendente a partire dalla forma letteraria che ha...inventato. 


Non si tratta di un libro per bambini o ragazzi, bensì è proprio dichiaratamente e programmaticamente un libro per adulti, ed allora, che ci fa qui, sulle pagine di Teste fiorite?
Beh, basta aprire la prima pagina del libro e leggere il titolo della premessa per capire: "Ricordati di essere stato bambino"

In effetti questo è il libro: una narrazione autobiografica dell'infanzia in epoca di leggi razziali della piccola Silvia Vegetti Finzi.
Dov'è la novità? La novità sta nel fatto che Silvia Vegetti Finzi è una grandissima psicologa clinica italiana e che del significato del ricordo, nonché dell'interpretazione della materia del ricordo ha non solo perfetta coscienza e padronanza ma ne ha fatto il contrappunto intonato della narrazione.

Ogni piccolissimo capitolo, che si riferisce ad un ricordo specifico dell'infanzia della bambina (che non viene mai nominata, resta "la bambina"), narra il ricordo (in corsivo) ed anche l'interpretazione dello stesso (in tondo così da rendere anche graficamente evidente il cambio di registro) portandoci direttamente nei meandri di ciò che costituisce la sostanza stessa di cui si compone l'infanzia e dunque di cui poi si costituisce ogni individuo in cui le cose dell'infanzia vanno a costituire le fondamenta dell'adulto.

La storia si svolge in epoca di guerra, non ci vuole uno storico per capire che Silvia Vegetti Finzi è ebrea, almeno di padre, i toni profondamente cupi di alcuni episodi, che ci fanno rivivere lo sgomento della bambina, sono indubbiamente segnati dalle leggi razziali, dalle quasi disumane, sicuramente disbambine (se la parola esistesse) a cui la guerra costringe e tuttavia questa resta la storia di una bambina in un tempo che potrebbe essere un tempo qualunque perchè non è necessarie che le ferite inferte alla psiche di un bambino siano quelle di tempo di guerra per creare effetti importanti!

"La persecuzione antisemitaresta il "non detto" di una storia infantile che procede in modo sussultorio, seguendo gli sbalzi delle emozioni più che la concatenazione degli avvenimenti. [...] Alla bambina quel "vissuto non vissuto" lascia una piccola cicatrice sulla pelle della memoria [...] ben poca cosa rispetto all'immane delitto perpetrato in nome della purezza della razza, ma tutto ciò che colpisce i bambini è particolarmente ingiusto." (p. 182-183).

Molte le pagine da segnare e ricordare di questo bellissimo libro che ci riesce a parlare persino dell'importanza degli albi illustrati, di ogni piccolo dettaglio colpisca l'immaginazione di un bambino e di come sia assolutamente importante che qualcuno a quel dettaglio dia importanza.

Se la Vegetti Finzi è tornata con la memoria alla propria infanzia non credo sia per ripercorrere una storia già narrata (sebbene sia una di quelle storie che non si deve mai e poi mai smettere di percorrere con storie e memorie) bensì per raccontare con la propria personale voce dell'importanza dell'infanzia da cui tutti noi deriviamo....e a cui talvolta è bene tornare.

Questo libro è un libro per tutti i giorni a cui tornare spesso, mi piace ancor di più ricordarlo in questi giorni che si avvicinano al giorno della memoria e in cui da tutte le parti si celebrerà vuotamente la shoah perché questo non solo non è un modo vuoto per narrare ciò che è stato ma soprattutto risponde all'obiettivo e necessità primaria che ogni narrazione di questa Storia deve avere: accorciare la distanza temporale in cui ciò che è accaduto 70 anni fa ad una bambina qualsiasi senza stella (perchè in Italia non se ne portavano) può parlare anche di ciò che accade ad una bambina qualsiasi di oggi.


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